mercoledì 16 luglio 2008
Matrimoni all'italiana
Questo un mio articolo scritto sull'invito di Lidia Ravera a Veronica Lario perchè lasci Berlusconi.
In una sorta di lettera aperta a Veronica Lario, Lidia Ravera esorta la legittima consorte del premier a licenziarlo, ossia divorziare, a causa dei suoi comportamenti di dubbia moralità. Anzi, si spinge fino ad un (femminista) invito di massa: «Licenziarli tutti, quelli che abusano dei nostri soldi, della nostra delega e della nostra pazienza, per farsi i fatti loro. Spudoratamente». Insomma, in una voluta confusione tra privato e pubblico, l’esortazione a Veronica affinché licenzi Berlusconi equivarrebbe a quella rivolta a cittadini e cittadine perché, stufi degli intrallazzi sessuali (e non solo) del loro premier, divorzino da lui.
Colpisce, nelle parole della raffinata scrittrice, una certa semplificazione del rapporto moglie-marito (che peraltro ha sempre afflitto la coppia regale), nella misura in cui descrive l’uomo come il cacciatore cattivo che ne va in giro col fucile in mano, e la donna come Penelope, mite e colta, che se ne starebbe a casa ad aspettarlo, presumiamo leggendo un libro spirituale. Ma questo clichè – moglie angelicata, uomo collezionista di pollastrelle – è così grottesco da smontarsi da solo: non tanto, sicuramente anche, per la coppia in questione, ma soprattutto in generale. Tutti sanno da sempre che, mentre il cacciatore caccia, la moglie a casa si cucina a puntino i suoi galletti. Il clichè si fa ancora più debole laddove si rappresenti un marito che utilizzerebbe, per rifornire di cartucce il suo fucile, i soldi della moglie (ma qui Ravera si riferiva probabilmente ai soldi pubblici). Com’è noto - quando uscirono le dichiarazioni dei redditi on line qualcuno avrebbe dovuto fare una ricerca dei compensi delle mogli, ne sarebbe venuto fuori uno spaccato sociale sconcertante e comico - in genere è la moglie, per drammatica necessità nella maggior parte dei casi, per comodità e pigrizia in molti alti, che vive dei soldi del marito. E per questo cerca di non lasciarlo, soprattutto se alla libertà di fare il galletto pubblico si abbina la possibilità di avere, appunto, un galletto privato.
Certo questo non è il caso della signora in questione, che dei soldi del marito non dovrebbe aver bisogno. Eppure, per ora, inspiegabilmente, resta. Ma come mai questa romantica e colta donna, che ha mandato i figli alla scuola steineriana e sui valori la sa lunga, continua a non “licenziare” il marito? Forse ama gli ossimori? Come in tutti casi, la realtà sarà senz’altro più semplice, perché se non c’è divorzio, esclusa la coercizione, c’è sempre un interesse di qualche tipo a non separarsi. Interesse che, non si fraintenda, può essere talvolta persino l’amore.
A utilizzare, rovesciandola, l’analogia tra matrimonio Silvio-Veronica e Silvio-elettori che Ravera usa, invocando il divorzio (in tribunale?), un bel po’ di cose si capiscono. Infatti, proprio come la signora Lario non lascia il marito, è probabile che l’esortazione della scrittrice agli elettori cadrà nel vuoto. Se la maggioranza del popolo italiano da quindici anni non divorzia da Silvio, una ragione, pur secondaria, ci sarà (come ha raccontato in un interessante pamphlet sull’ambiguità dei comportamenti dei cittadini la psicoanalista Simona Argentieri). Che sia la difesa dei propri interessi, o la necessità di coltivare indisturbato il proprio pollaio privato. Qualcuno ha detto che forse è amore, e non sappiamo quale delle ipotesi sia la più inquietante.
Comunque sia, Ravera un po’ di ragione ce l’ha. È giusto indignarsi e additare alla discrepanza che emerge tra quanto detto nelle intercettazioni e i valori sbandierati da nostri politici. Soprattutto perché quello che le telefonate mostrano è che ai divertimenti privati – e ben diversamente dalle più oneste orge di Mosley – seguono spesso assunzioni con soldi pubblici. Ma ricordandosi, appunto, che il problema dei problemi non è lo scandalo, ma il fatto che allo scandalo, appunto, non segue divorzio (amoroso e elettorale).
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