Existential works in progress

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martedì 1 gennaio 2008

Elogio del tragico: riflessioni su religione e laicità

Il primo giorno del 2008 mi tocca lodare un articolo di Pierluigi Battista? Lo so, lo so, non dovrei. Ma oggi i giornali non erano in edicola, e in queste ore non ho potuto fare a meno di ripensare a quantro ha scritto il vicedirettore del Corriere lunedì 31 dicembre sul'«ateologia» di Philip Roth. Sebbene come al solito finalizzi la sua riflessione ad una critica ai "laicisti" che tanto odia, tuttavia la sua tesi non si può non condividere: la Chiesa, dice Battista, si confronti non con gli atei-macchiette ma contro chi, come Roth, sferra un colpo mortale al cuore del cristianesimo, mostrando l'assoluta assenza di senso del mondo.
Lo allego tutto, è bello assai. Interessante notare come si tratti di una riflessione speculare a quella di Massimo Cacciari, che il filosofo veneziano ha espresso nell'intervista alla Stampa (che trovate qui: http://www.margheritaonline.it/stampa/scheda.php?id_stampa=31558).
Dice Cacciari: «Oggi non esiste più un rapporto essenziale, profondo con la tradizione cristiana. Invece gli anti-Cristo ce l'avevano». E critica i laici alla Odifreddi, «che ridono della morte di dio e credono che i problemi della Chiesa non riguardino i laici». Anche Cacciari coglie il punto: la negazione di Dio non può mai essere allegra e buontempona, perchè se Dio non esiste e la nostra vita non ha alcun significato, l'unico registro veritiero è quello tragico.
E allora forse il problema vero è questo: laici e cattolici di oggi hanno perso, entrambi, il senso del tragico e dell'immensità dei quesiti che riguardano la nostra vita (che non hanno nulla a che fare nè col mettersi il preservativo, nè col toglierselo).

Roth e l'ateologia della disperazione
«Ma perché le autorità cristiane si allarmano tanto peri sussidiari a-teologici di Michel Onfray; per i pamphlet antireligiosi di Piergiorgio Odifreddi; per le apologie scientiste di Richard Dawkins; perle inti-mazioni al silenzio pronunciate dai pulpiti accademici e giornalistici di un laicismo ideologico sempre più spento, legnoso, ripetitivo, ossessivamente chino sulla riformulazione catechistica della vulgata tardo-illuminista? Ma davvero credono che il pericolo venga da qui? E invece, se proprio sentono 11 bisogno impellente di annusare l`odore di zolfo nelle pagine di un libro, non dovrebbero piuttosto cercare nell`opera di quel distruttore nichilista di Philip Roth il vero esplosivo che ha disintegrato l`armonia tra il mondo e la religione, la rappresentazione sgomenta di un mondo abbandonato da Dio e consegnato all`angoscia senza redenzione? Eccoli, i testi pubblicati in questo 2007 in Italia, che se ci fosse ancora il famigerato Indice dei libri proibiti meriterebbero di fa compagnia alle opere più maledette della storia: «Everyman» e «Patrimonio» (tutti e due editi da Einaudi). Nell`anno dell`enciclica papale «Spe salvi», in questi romanzi si raffigura la più radicale assenza di speranza, la disperata impotenza di fronte allo sfacelo di un corpo che finisce per sempre, di una vita che si decompone, di un`esistenza che si chiude senza gloria e nell`assolu- ta, inattaccabile miscredenza in un aldilà di resurrezione».

E ancora:

«Fuse insieme, le due opere di Roth trovano compimento simbolico, paradossale perché non deliberato, nella forma di un`anti-enciclica.
Sono la tragedia moderna del nostro destino condannato alla finitezza, raccontata senza enfasi titanica, ma come il referto di una patologia che divora la carne e l`anima riducendo in polvere tutto ciò che nella vita aveva dato un senso di pienezza. Sono il sarcasmo aspro, lo humour nero, l`ironia autodemolitrice che imbevono tutti i grandissimi libri di Roth, ma che in queste due opere dilagano senza scampo, per l`autore e per i lettori. Perché non possiamo non dirci cristiani, diceva Croce. Perché, dopo la morte di Dio, non possiamo non essere disperati, ribatte spietato Roth.
Che non perdano tempo, i credenti devoti, a polemizzare con i sacerdoti della contro-religione laicista perché, in fondo, anche loro credono in qualche surrogato di divinità secolare: la scienza o la politica, la storia o l`etica. Sono audaci, sicuri di sé, dogmaticamente certi di possedere anch`essi una (laica) verità. Il mondo di Philip Roth, no.
Non crede in niente, non si aggrappa a nessun succedaneo di speranza. Vive, si disfa e muore come se Dio, nessun dio, esistesse: perciò merita l`inferno, la censura; le fiamme che consumano le parole del diavolo. I credenti immaginano che a scavare la fossa della religione siano gli stentorei proclami di chi riempie migliaia di pagine per liberare l`umanità dalle imposture della fede. E non capiscono che bastano poche righe di uno scrittore straziato dalla http://www.margheritaonline.it/stampa/scheda.php?id_stampa=31558morte del padre per spegnere ogni barlume di speranza e voltare le spalle a ogni trascendenza. Come se, dissolta ogni speranza, non restasse che il dolore. Al rogo Philip Roth».

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